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Immagine del redattoreClaudia Fofi

Gli alberi pensano. Pensiamoci.

Aggiornamento: 30 ott



Nel 1964 un biologo dell'Università di Harvaard, Karel Slama, si trovò di fronte a un mistero senza soluzione: le cimici che allevava nelle scatole "incubatrici" producevano sei o sette metamorfosi larvali invece che le normali cinque. A causa di questa anomalia le larve morivano prima di diventare adulte. Slama dopo varie osservazioni capì che c'era un eccesso di ormoni della crescita e iniziò uno studio per capire la causa, arrivando alla conclusione che il fattore di contaminazione che provocava l'eccesso di ormoni doveva trovarsi nella carta di giornale che rivestiva le scatole incubatrici. Lo studioso allora iniziò a provare diversi tipi di carta di diversi giornali e alla fine capì che solo a contatto del "New York Times" le larve delle cimici morivano precocemente. Dopo un'altra serie di indagini Slama scoprì che gli alberi abbattuti per produrre la carta del "New York Times" provenivano tutti da una foresta infestata, pensate un po', dalle cimici. E così si convinse che la morte dei suoi insetti da laboratorio non fosse stata provocata da un incidente di percorso ma da un'azione premeditata degli alberi: una vendetta in piena regola. Nonostante tutti i trattamenti, le macinazioni, le trasformazioni chimiche, gli alberi continuavano a rilasciare la sostanza tossica che uccideva le cimici.

Questa storia, che ho letto nel libro di Didier Van Cauwelaert, "Le emozioni nascoste delle piante", mi ha molto fatto riflettere sull'interconnessione tra ogni elemento che popola l'ecosistema, tra esseri viventi di specie diverse, siano essi abitanti della fauna o della flora terrestre. Se non ci rendiamo conto di questa profondissima interconnessione saremo persi. Le piante sono molto più intelligenti di noi e ce la faranno, perché sanno prendere decisioni in nome della coesistenza e reciproco supporto e non sulla prevaricazione, che è una nostra specialità invece. Dovremmo venerare esseri superiori come i larici e gli abeti e invece non facciamo che distruggere tutto, perché il nostro rapporto con la natura ricorda quello dell'ospite, dello straniero. Il libro di Van Cauwelaert è appassionante. Le piante sanno essere vendicative, amano le carezze, la musica, provano empatia e compassione, sanno trasmettere il pensiero e hanno memoria. Pensano. In modo vegetale, ma pensano. A molti di noi sarà capitato di vedere un video divulgativo di Stefano Mancuso o di leggere un suo libro sull'intelligenza delle piante. Mancuso è uno dei più importanti studiosi di questa affascinante materia, che per quanto mi riguarda pone una questione che sta alla base del nostro rapporto con la vita stessa. Bisognerebbe infatti superare uno schema antropocentrico e obsoleto, che ha prefigurato per tanto tempo una rapporto di superiorità rispetto alla natura, sorretto da una visione paternalistica, pittoresca, nostalgica, bucolica. E' tutto sbagliato. "Senza offesa per i materialisti, ancora riluttanti a considerare la pianta come una vera vita, sensibile e connessa, tutti i mezzi di comunicazione che essa impiega sono ora realtà scientifiche" (sempre dal libro di Van Cauwelaert). Credo che questi temi siano strettamente connessi con quelli relativi all'intelligenza artificiale e all'uso che ne faremo. In teoria la questione potrebbe essere politica, il futuro dovrebbe dare cittadinanza al mondo vegetale. Ci sono sociologi e biologi che sostengono progetti di interconnessione digitale che auspicano la nascita di "parlamenti delle piante". Ascoltare le piante, una sapienza sciamanica, sarà reso possibile dalla tecnologia avanzata. In futuro le decisioni dovrebbero essere prese di comune accordo, tra noi e il mondo vegetale e animale.





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